venerdì 12 giugno 2020

La fine: sintesi del blog - STEP #25

Con il termine immagine si vuole indicare la forma esteriore degli oggetti corporei, in quanto viene percepita attraverso il senso della vista, o si riflette - come realmente è, o variamente alterata - in uno specchio, nell'acqua e sim., o rimane impressa in una lastra o pellicola o carta fotografica. Lo stesso sostantivo latino da cui deriva “imagine” indica “l’apparenza”, “la sembianza”. Partendo quindi dall’analisi fornita dal dizionario, si può constatare che il termine ha da sempre accompagnato l’uomo, partendo dall’antichità e dalla concezione assunta nella mitologia e nella filosofia fino a raggiungere l’epoca del suo sviluppo tecnologico grazie alle varie scienze dedite allo studio. Tuttavia, prima di tale progresso tecnico, è doveroso anche ricordare la centralità assunta in ambito artistico e letterario: infatti numerosi poeti e letterati hanno espresso tale centralità in opere poetiche e testi di letteratura narrativa (si ricordi “Il ritratto di Dorian Grey” e alcune poesie pascoliane). Talvolta per i più importanti filosofi moderni e contemporanei, domandandosi su quale atteggiamento si dovesse adottare per conoscere la realtà effettiva del nostro mondo, sono ricorsi al concetto di immagine come mezzo per il raggiungimento della conoscenza, mentre per altri è stato il mezzo per il conseguimento di un, seppur effimero e fugace, momento di felicità. L’immagine è stata poi anche soggetto di numerosi quadri appartenenti, artisticamente parlando, a periodi molto distanti tra loro (si pensi all’evidente divario tecnico presente tra gli affreschi medievali o i quadri rinascimentali caravaggeschi rispetto alle le opere impressioniste di metà ‘800). Data la sua grande forza comunicativa, frutto dell’immediatezza espressiva (ne sono un esempio le pubblicità progresso e le forse più note pubblicità commerciali), l’immagine ai tempi della nascita di telecomunicazioni e social media è stata oggetto di dibattito di numerosi sociologi e storici, entrambi concordi nell’affermare che le società odierne sono limitate nella comprensione della realtà. Navigando in Internet è possibile infatti osservare come, anche in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, un’immagine spesso valga più di mille parole e dimostri come maggior concretezza il reale progresso tecnologico e scientifico. Guardando quindi con una visione più ampia cosa può rievocare il termine (anche grazie all’uso di brainstorming) è facile notare come questa influenzi ambiti legati alla cinematografia (o più in generale l’industria cinematografica) e alla fotografia. In conclusione si può affermare che l’immagine è da sempre stata concepita come mezzo comunicativo, sebbene talvolta l’etica legata a tale sviluppo non sempre si è dimostrata proseguire di pari passo.

martedì 9 giugno 2020

Quanto le immagini influenzano la nostra vita? Tra influencer e idoli del web

Marshall McLuhan insieme a W.J. Ong. McLuhan fu uno dei primi a definire le influenze della tecnologia e più in generale dei mezzi di comunicazione sulla struttura mentale dell’individuo in ogni particolare epoca storica. In “Gli strumenti del comunicare” (1964), egli comprende che è importante studiare i media non tanto per il contenuto che veicolano, ma in base al sistema col quale realizzano la comunicazione. Ciò trasforma radicalmente il modo di concepire tali strumenti, incorporando il fine stesso nel mezzo. A partire da questa premessa è possibile estendere la riflessione riguardo le dinamiche della società odierna iperconnessa e circa l’effetto che gli attuali mezzi di comunicazione provocano sull'Ego. A partire dal mainstream e rimanendo circostanziati al mondo del jet set, notevole è il salto di qualità realizzato da sistemi quali i social network, che sono essi stessi a fabbricare i divi di massa, come nel caso degli influencer, o comunque amplificano di parecchio la
portata di personaggi televisivi, cinematografici e del mondo della cultura pop. Traslando la forte presa che i “mezzi social” stanno assumendo nella realtà, dal mondo dello spettacolo a quello privato, come non notare la dilagante quantità di dati che, o in forma testo o fotografica e video, celebra minuto per minuto la vita di milioni anonimi individui. Una vera e propria forma di “dipendenza” dovuta alla sollecitazione continua della volontà di esibizione personale. Assistiamo quotidianamente a una valanga di selfie, fotografie, post e racconti di ogni genere, immortalanti qualunque fatto, qualunque evento, anche il più insignificante, o peggio ancora sgradevole all'occhio del pubblico.

Gli effetti sull’Ego dei media si riscontrano anche nel mondo della cultura e dell’informazione. Come non notare il narcisismo di grandi personaggi di questo settore, giunto oramai a livelli patologici. I suddetti, più che divulgare le proprie conoscenze, con un certo grado ammissibile di orgoglio personale sono divenuti delle vere e proprie star da talk show televisivo. Questo discorso include anche tutti coloro che negli ultimi anni si sono guadagnati, giustamente, la fama di personaggi rilevanti nel mondo della controinformazione e della controcultura.

Un meccanismo a più livelli che dirige la penetrazione di contenuti e messaggi di ogni tipo, a cominciare da quelli subliminali, nella sfera inconscia, e che è oggetto di dibattito tra i massimi esponenti della sociologia e del mondo della comunicazione. Un meccanismo, dunque, che fa presa su tutti, indipendentemente da personalità, importanza, idee e “visione del mondo”.

Fonti: https://sociologicamente.it/benvenuti-nella-societa-dellego-tra-selfie-social-network-e-controcultura/

Società dell'immagine: quando l'apparire conta più dell'essere

Viviamo nella cosiddetta “civiltà dell’immagine” e pertanto non ci stupiscono i dati Censis 2007, secondo i quali solo il 33% dei ragazzi tra i 18 e i 25 anni si piace così com'è, mentre il 56% esprime l’aspirazione a migliorare il proprio aspetto. Infatti all'aspetto fisico viene attribuita molta importanza nelle varie occasioni della vita di società.  I dati del Censis evidenziano l’aspirazione della maggior parte degli adolescenti a migliorare il proprio aspetto; penso che tali risultati non siano altro che la conferma di una società dell’immagine, dove i giovani  si trovano a seguire un modello culturale che punta molto all'esteriorità, mai come oggi siamo stati così circondati da figure ed immagini.
Nella società attuale, definita appunto società dell'immagine, si ha un imponente sviluppo dell'aspetto visivo del vivere umano, conta il suo  modo di rappresentarsi, il suo mostrare e mostrarsi. L’apparenza sembra “impossessarsi” dell’aspetto interiore, come se l'immagine esteriore svuoti quasi completamente l'interiorità. Viviamo quindi in una società in cui conta di più l’apparire rispetto all'essere o meglio dove l’essere coincide con l’apparire.
La nostra è una società che fa riferimento ad immagini-idolo…una cultura fatta di modelli e icone generati dal mondo della pubblicità, dello sport, dello spettacolo, della televisione…fino ad arrivare alle nuove tecnologie, per le quali la condivisione di immagini è un aspetto fondamentale.
Con l’affermarsi sempre più smisurato di internet, si sono creati molti blog come Facebook e Instagram dove l'immagine è l'unica cosa che conta. Fotografate in pose accattivanti, le giovani adolescenti cercano di attirare l’attenzione dell’altro sesso…tutto per il gusto di farsi notare, lasciare che chiunque possa ammirare il proprio corpo. Nel contesto in cui viviamo, impregnato di pubblicità e messaggi da parte dei mass media, il corpo è diventato un oggetto da esibire e sembra essere l’unico messaggio che vale.

lunedì 8 giugno 2020

Il bello e buono: come nell'antica Grecia le buone virtù erano racchiuse in una persona

L’attributo con cui i Greci erano soliti indicare l’uomo ideale era "kalòs kai agathòs", che significa bello e buono, quindi l’aspetto fisico era posto sullo stesso piano di quello morale e l’uno non era completo senza l’altro; questa fu una concezione diffusa in tutto il mondo antico e che trovò in Grecia la sua massima espressione. La forza, la bellezza e l’armonia erano virtù di una persona almeno quanto l’intelligenza e la bontà d’animo, tanto che tutti gli eroi epici, da Omero in poi, vengono presentati come "kalòi kai agathòi"e in ogni poema sono presenti gare sportive la cui vittoria dà ai protagonisti lo stesso prestigio di una vittoria in una battaglia.
Anche la politica era permeata di bellezza: l’ideale aristocratico della "kalokagathia" significava infatti che l’essere “buono” (valoroso, ben nato, ben educato) non poteva essere disgiunto dall’esser bello (armonioso, nobile, splendente di gloria). Gli dei, i semidei, gli eroi, gli uomini che il mito e la storia ci tramandano, che la poesia e la statuaria ci consegnano, sono belli perché, nel loro corpo, partecipano della misura divina del mondo. Una bellezza, dunque, al tempo stesso individuale e collettiva, soggettiva e oggettiva, naturale e umana.
“La potenza del bene si è rifugiata nella natura del bello” scriveva Platone. La bellezza del fisico corrisponde, insomma, alla perfezione morale ("kalokagathia"). L’attività atletica diventa un elemento di basilare importanza nell’educazione, accanto all’insegnamento delle discipline intellettuali. Lo sviluppo di un’armoniosa muscolatura, l’agilità, la destrezza fisica e l’attività ginnica in generale erano considerati sullo stesso piano e con lo stesso valore delle attività intellettuali. Sorgono e si moltiplicano in tutte le società greche appositi edifici, ginnasi, necessari ed indispensabili per una corretta educazione ("paideia") dei giovani. Il concetto greco non può che riflettersi nelle sculture della grecità e in quelle del Rinascimento italiano.



Mirone, 455 a.C. - Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, Roma

Fonti: https://candide.it/kalos-kai-agathos-ovvero-bello-e-buono

lunedì 1 giugno 2020

il gioco dei riflessi - STEP #22

Episodio I - Tale nonno, tale nipote

Sono ormai passati 40 anni dall'ultimo caso risolto da Sherlock Holmes e, in quella stessa notte del 15 settembre  1947, proprio come 40 anni prima, la pioggia cadeva fitta su una Londra. Era in nel suo alloggio William Holmes (nipote del più famoso investigatore privato del XIX secolo) quando ricevette una chiamata dal cellulare fisso che lo avvertiva che avrebbe ricevuto lo stesso trattamento riservato alla sua famiglia. Intimorito, il giovane decide di uscire di casa quando per strada incontra Oliver Davies, la spalla che da sempre lo accompagnava nella risoluzione dei misteri più oscuri. Spiegata la situazione al suo assistente, al giovane detective viene proposto di passare la notte a casa dell'amico. Giunti a casa di Oliver, l'attenzione di William viene richiamata dallo squillo del cellulare. Deciso a rispondere il poliziotto privato, si sente chiamato per risolvere un giallo avvenuto da poco vicino a una banca non molto distante dalla sua posizione. Il singolare caso presentava una donna sgozzata vicino a un Bancomat. Ciò che attirò immediatamente l'attenzione di William e Oliver furono due particolari legati all'omicidio: il cadavere non era stato derubato dei soldi appena ritirati dallo sportello e il numero "47" inciso su uno specchio rotto trovato nella bocca della donna.

Episodio II - I pezzi di un puzzle

Allontanati dalla scena del crimine i due iniziano a riflettere sul significato del numero inciso e sul perché il carnefice non fosse riuscito a prendere quelle 400 £. Poche ore dopo, William venne contattato nuovamente dalla polizia per essere aiutata a risolvere un nuovo caso verificatosi dalla parte opposta della città. Raggiunta la scena del crimine, l'investigatore e il suo assistente notarono che sebbene l'arma del delitto fosse cambiata, la costante dello specchio era rimasta. Questa volta l'oggetto riportava l'indicazione di una via: "Wapping High Street". Timorosi di essere dinnanzi al terzo omicidio dell'interminabile notte, i due si diressero presso la zona portuale londinese. Sebbene la poca luce rese difficoltosa ritrovare la via e il numero del capannone, William e Oliver, arrivati a destinazione, trovarono una terza donna impiccata: tale elemento però non portò a pensare di essere capitati sulla scena di un suicidio in quanto il cadavere riportava evidenti segni di strangolamento sulla gola. Poco prima di denunciare l'omicidio, venne trovato in quello stesso capannone un ultimo specchio, segno del fatto che anche in questo caso l'artista lasciò la propria firma: l'incisione questa volta proponeva a William di tornare a casa per vedere l'ultimo atto della serata. Decisi di porre fine a questa scia di morte, l'investigatore e il suo compagno si diressero presso l'appartamento.

Episodio III - Vite spezzate

Giunti a casa trovarono una foglio accanto a quello che sarebbe stato l'ultimo cadavere della serata. Come una lettera d'addio, il carnefice si dichiarava colpevole di tutti gli omicidi compiuti, invitando però il giovane detective a quante vite spezzate ha portato suo nonno con sè: ogni singolo omicidio compiuto e additato da Sherlock come deplorevole, in realtà è stato frutto di una volontà di vendetta o di protezione verso la famiglia dei vari killer, in quanti erano stati tutti minacciati da uomini più potenti. Volgendo un ultimo sguardo all'unico specchio nella stanza, William stesso si rese conto che quella interminabile caccia all'uomo era volta solamente alla protezione di sé stesso e non perché spinto da fini più alti.

La fine: sintesi del blog - STEP #25

Con il termine immagine si vuole indicare la forma esteriore degli oggetti corporei , in quanto viene percepita attraverso il senso della v...