«[La critica] è un invito alla ragione di assumersi
nuovamente il più grave dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sé, e di erigere
un tribunale, che la garantisca nelle sue pretese legittime, ma condanni quelle
che non hanno fondamento...; e questo tribunale non può essere se non la
critica della ragion pura stessa....critica della facoltà della ragione in
generale riguardo a tutte le conoscenze alle quali essa può aspirare
indipendentemente da ogni esperienza; quindi la decisione della possibilità o
impossibilità di una metafisica in generale, e la determinazione così delle
fonti, come dell'ambito e dei limiti della medesima, e tutto dedotto da principi.»
"Tuttavia nel nostro concetto, quando denominiamo certi oggetti, come fenomeni, esseri sensibili (phaenomena), distinguendo il nostro modo di intuirli dalla loro natura in sé, c'è già che noi, per dir così, contrapponiamo ad essi o gli oggetti stessi in questa loro natura in sé (quantunque in essa noi non li intuiamo), o anche altre cose possibili, ma che non sono punto oggetti dei nostri sensi, come oggetti pensati semplicemente dall'intelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili (noumena). Ora, si domanda se i nostri concetti puri dell'intelletto rispetto a questi ultimi non abbiano un valore, e se di essi non possano essere una specie di conoscenza.
Ma qui si presenta subito un equivoco, che può dare
occasione a un grosso malinteso, e cioè: che poiché l'intelletto, quando chiama
semplicemente fenomeno un oggetto che è in una relazione, si fa ad un tempo,
fuori di questa relazione, ancora una rappresentazione di un oggetto in sé, e
quindi si immagina di potersi parimenti far dei concetti di tali oggetti; e
poiché l'intelletto non fornisce altri concetti che le categorie, l'oggetto,
nell'ultimo significato, si immagina che debba poter esser pensato almeno
mediante codesti concetti puri dell'intelletto; ma così è indotto a ritenere
un concetto affatto indeterminato di un essere intelligibile, come qualcosa in
generale al di là della nostra sensibilità, per un concetto determinato di un
essere, che noi possiamo in qualche modo conoscere mercé dell'intelletto. Se
noi intendiamo per noumeno una cosa, in quanto essa non è oggetto della nostra
intuizione sensibile, astraendo dal nostro modo d'intuirla, essa è un noumeno
in senso negativo. Ma, se per esso invece intendiamo l'oggetto d'una
intuizione non sensibile, allora supponiamo una speciale maniera di intuizioni,
cioè l'intellettuale, la quale però non è la nostra, e della quale non possiamo
comprendere nemmeno la possibilità; e questo sarebbe il noumeno in senso
positivo."
In particolare, il filosofo propone una attenta distinzione tra "fenomeno" e "noumeno": il primo, è l'oggetto della conoscenza umana ed è sintesi di un elemento materiale e di uno formale. Dal momento che per Kant la conoscenza non può estendersi oltre l'esperienza, a partire dalla nozione di Fenomeno (l'immagine di come questo si presenta ai nostri occhi) dovrà esserci una cosa in sè, il noumeno (dal greco "noumenon", ovvero realtà pensabile), il quale può essere descritta, secondo la filosofia kantiana, come una meta fenomenica che si fenomenizza solo in rapporto a noi. Essa pur essendo inconoscibile, e quindi non è oggetto di esperienza, può essere pensata. Da qui derivano una accezione positiva (ovvero un oggetto di intuizione non sensibile) e una negativa (realtà che è destinata a rimanere ignota). Il noumeno si fa quindi "promemoria critico" delle pretese conoscitive della ragione basata sulla realtà e sulla visione del mondo reale che ci circonda.
Fonti:http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaK/KANT_%20FENOMENO%20E%20NOUMENO.htm#_ftnref1
https://it.wikipedia.org/wiki/Critica_della_ragion_pura#cite_note-1
Immagine:Immagine frontespizio "Critica della ragion pura"
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