Nella filosofia Medievale è ricorrente trovare pensieri collegati al concetto di immagine: la cultura infatti era controllata da un esiguo numero di persone, rappresentato dai funzionari della chiesa e dalle più ricche famiglie europee. Si capì quindi che per comunicare un pensiero era necessario "parlare per immagini", le quali contengono pensiero stesso. In questo periodo infatti il tasso di alfabetizzazione era bassissima e la Chiesa, per comunicare con i credenti, si serviva di illustrazioni basandosi su quadri, affreschi sulle pareti delle chiese, vetrate gotiche e bassorilievi. Queste fanno parte del linguaggio visivo che, come il
linguaggio verbale, ha delle regole e delle strutture, una grammatica e una
sintassi, sebbene molto più intuitivo. A livello percettivo le immagini sono l’aggregazione di
elementi semplici come le linee (orizzontali, verticali, curve ecc…), oppure di
forme o figure o spazi (rapporto di vicinanza, lontananza, vuoti e pieni,
figura/sfondo ecc…), oltre che di luci, ombre e colori. Tali elementi
all’interno di ogni processo visivo vengono riconosciuti, organizzati, riempiti
di un senso. Se, ad esempio, in una scatola parallelepipeda o cubica riconosco
una casa, ho compiuto uno slittamento di senso nell’analogia formale. Si
potrebbe anche realizzare il percorso inverso, di ritrovare nelle cose una
forma originaria che ne costituisce la struttura depositata nel nostro
patrimonio visivo: gli stereotipi, i segni iconici.
Da tutto ciò deriva che perché il processo comunicativo si
realizzi è necessaria la presenza di codici, ovvero di relazioni tra
significati e significanti, tra segni e oggetti. Solo l’esistenza e la
conoscenza di un codice comune scelto per comunicare, garantisce la
comprensione fra gli individui. Uno dei "filosofi" più di rilievo sotto questo punto di vista furono papa Gregorio Magno, il quale, prima di tutti, capì la necessità di trasmettere il messaggio evangelico anche alle famiglie più povere (e quindi meno alfabetizzate).
Nessun commento:
Posta un commento